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- Clonazione -

 

Ne sentiamo tanto parlare in televisione, alla radio, di clonazione. Si legge sui giornali ma spesso, invece degli esperti a giudicare e dibattere sull’argomento, sono giornalisti. A volte con grande senso del dovere e voglia di fare informazione ma non sempre loro stessi abbastanza “informati”.

Dal 1997 tutti conoscono la pecora Dolly, il primo mammifero clonato per opera dei ricercatori del Roslin Institute di Edimburgo, guidati da Ian Wilmut.

Ma cosa significa clonare? Per clonazione si intende moltiplicazione di un organismo utilizzando un processo non sessuale, dando in questo modo origine ad organismi del tutto “simili” al progenitore. Per non sessuale si intende un processo al quale non prendono parte i gameti. Mi spiego. Gli esseri viventi che si riproducono sessualmente nascono dalla fusione di due gameti: la cellula uovo (oocita), gamete materno, e lo spermatozoo, gamete paterno. Questa fusione porta alla formazione dello zigote, cellula che andrà successivamente incontro a varie divisioni con formazione dell’embrione.

Il tutto è molto complicato sia a livello genico che fisiologico ed è il motivo per cui la probabilità che nascano organismi con uguale genotipo (il genotipo è la costituzione genetica, l’insieme dei geni di un organismo), definiti spesso cloni, è estremamente remota per non dire nulla. I geni dei gameti, infatti, derivano da una divisione “casuale” dei geni dell’organismo che li produce (questo avviene alla nascita dei gameti, durante un processo definito “meiosi”, attraverso lo  scambio fisico di porzioni di cromosomi: crossing-over), ma a sua volta l’individuo che ha prodotto i gameti deriva da uno stesso processo e cosi via… Fare un clone significa duplicare un organismo, è quindi ovvio che non può essere affidato ad un evento “casuale” e quindi mediante un processo sessuale.

Tutte le cellule hanno un nucleo all’interno del quale ci sono i cromosomi (composti da geni); per far nascere un individuo con un determinato corredo genetico bisogna immettere quel corredo genetico in una cellula, che sia in grado da sola di generare un intero organismo. Per clonare Dolly è stato fatto questo, da una pecora è stato prelevato un ovulo (cellula uovo) e da un’altra cellule mammarie. I ricercatori hanno quindi tolto il nucleo dalla cellula uovo e hanno fatto in modo che, mediante impulsi elettrici, questa cellula potesse fondersi con una delle cellule mammarie, cosicché una volta  reimpiantate nello spazio “perivitellino” (dove cresce l’embrione) potesse svilupparsi l’embrione.

Questo esperimento è stato il risultato di innumerevoli tentativi che non ebbero buon esito, per cui quando nacque la pecora Dolly ci fu una vera e propria rivoluzione scientifica.

Purtroppo i mass-media ebbero la possibilità di fantasticare all’inverosimile su cosa avrebbe potuto portare una eventuale, anche se ancora impossibile, clonazione umana, e questo fece molto audience, invece  di concentrarsi sulle possibilità terapeutiche che la clonazione animale poteva portare.

Da quel momento la ricerca scientifica applicata a questo campo fece enormi passi avanti, basti pensare che i primi studi che diedero poi le basi alla clonazione iniziarono molti anni prima, nel 1936, con Hans Spemann e poi, nel 1951, Gurdon eseguì la prima clonazione: gli esperimenti furono fatti su rane i cui embrioni sono più facili da monitorare e coltivare, dato che le stesse rane li emettono all’esterno, e nell’acqua si formano i girini. Tra l’altro con una sola ovulazione la rana produce migliaia di oociti, quindi si poteva avere a disposizione un alto quantitativo di materiale su cui operare. Con la stessa tecnica usata per clonare Dolly, Gurdon per primo riuscì a far nascere girini clonati a partire da cellule epiteliali e oociti anucleati.

Il problema si presentò subito dopo, quando si riprovò a fare lo stesso con i mammiferi e si vide che l’embrione non si sviluppava. Allora si concluse che la clonazione di un mammifero era impossibile perché le cellule adulte non potevano essere “riprogrammate” geneticamente, per cui inserendole in un oocita anucleato, non si riusciva a far sviluppare l’embrione. Si giunse a questa conclusione considerando che le cellule adulte derivano comunque dallo zigote che va incontro a migliaia di divisioni prima di formarle, e le cellule nate da queste divisioni perdono conseguentemente la loro “totipotenza” (capacità di generare cellule diverse per diversi tessuti).

Per questo motivo l’interesse per la clonazione dei mammiferi si spostò dall’uso di cellule adulte a cellule il più possibile totipotenti, quelle che hanno subito ancora poche divisioni, ossia le cellule dell’embrione. Nei mammiferi placentati (la stragrande maggioranza dei mammiferi) lo zigote comincia a dividersi in 2, 4, 8 cellule, ma in questi animali le divisioni sono asincrone e possono trovarsi cellule in numero dispari, definite blastomeri. Da un aggregato di questi blastomeri, detto nodo embrionale, prenderà forma l’embrione, altri invece formeranno il trofoblasto che insieme ai tessuti uterini formerà la placenta deputata alla nutrizione dell’embrione (da qui mammiferi placentati). Le prime cellule che si formano dallo zigote sono totipotenti, quindi se ad un certo tempo si stacca un blastomero dall’embrione, questa cellula potrà da sola dare origine ad un embrione identico a quello da cui è stato staccato. In linea di massima è questo quello che accade per la nascita di gemelli omozigoti.

Le ricerche e gli esperimenti andarono avanti fino a quando nel 1993 Jerry Hall e Robert Stillman, ricercatori del dipartimento di ostetricia e ginecologia della Gorge Washington University, annunciano di aver clonato 17 embrioni umani producendo 48 embrioni geneticamente identici. Si riuscì così a creare embrioni di mammifero, ma che fino al 1997 non raggiunsero mai lo stadio adulto. Questo arrivò con Dolly dopo la quale si clonarono altri mammiferi: maiali e bovini.

Naturalmente i quesiti sono tutt’ora tanti.

Ad esempio, la cellula usata per la clonazione è adulta, differenziata, è il risultato di tantissime divisioni cellulari durante le quali è naturale una possibile mutazione, col passare delle divisioni queste mutazioni, a carico del DNA (acido deossiribonucleico), si accumulano. Anche se non tutto il DNA è complessato a fare geni tutti i geni sono fatti di DNA e mutazioni a carico di quest’ultimo potrebbero comportare alterazioni dei geni nell’individuo clonato, il quale comunque non avrebbe lo stesso identico “genoma” (insieme di geni) dell’organismo da cui proviene.

Sotto questo punto di vista è difficile parlare di veri e propri cloni, oltretutto un individuo non è mai l’esatta espressione fenotipica dei propri geni, (fenotipo: caratteristiche visibili dell’organismo). Il fenotipo è dettato non solo dal menoma ma anche dall’ambiente, le condizioni di vita che l’organismo incontra sin dalla nascita. Basti pensare che i gemelli omozigoti non sono perfettamente identici!

La nascita di Dolly ha quindi aperto polemiche tuttora in atto: i più scettici hanno reputato questo evento come un inizio dell’era dei cloni umani, come nei film di fantascienza, e la chiesa da parte sua condanna la clonazione anche se fatta con il solo fine di ottenere organi per trapianti: <<Lo scopo è buono ma le procedure sono moralmente inaccettabili>> ha detto il Papa al XVI congresso internazionale della società dei trapianti dinanzi a 4000 scienziati presenti in platea; l’embrione è considerato come una persona e quindi la clonazione un attentato ad essa.

Alla conferenza c’era Iam Wilmut che ha ribadito: <<Noi non vogliamo clonare l’uomo, ma l’embrione, che nei suoi stadi iniziali non è una persona umana. E’ un potenziale uomo ma non è ancora persona in quanto non c’è la differenziazione del sistema nervoso che la contraddistingue. Ecco perché credo che si possano usare cellule embrionali per la ricerca, per cercare di curare molte malattie. Nessuno scienziato è interessato a produrre copie di persone e noi vogliamo mantenere l’identità di ognuno, la clonazione umana non serve, è inutile e dispendiosa.

In natura gia esistono dei cloni: sono i gemelli omozigoti, uguali solo nel fisico ma non nel pensiero. Insomma non avremo mai due individui identici.>> e continua Wilmut: <<Vogliamo usare le cellule embrionali umane ricavate da embrioni prodotti in eccesso dalla fecondazione artificiale e destinati ad essere distrutti. Ciò potrà dare enormi possibilità di cure per malattie come il diabete, l’infarto, la cirrosi del fegato, il morbo di Parkinson>>.

In sostanza le fazioni si sono sempre create, per qualsiasi motivo, e probabilmente è giusto che sia così. Chiunque può e deve esprimere il proprio parere: a mio giudizio la clonazione di animali andrebbe accettata, a determinate condizioni, naturalmente, mantenendo sempre dei doveri morali nei confronti degli animali. Se grazie ad essa si possono salvare vite umane e garantire dignitose esistenze a persone affette da malattie, credo sia una metodica da accettare, anzi da supportare.

Il codice genetico è stato sequenziato e conoscendo quale gene mutato determina la mancata sintesi di una proteina vitale per l’uomo, ad esempio, si possono creare animali transgenici (con questo gene inserito nel loro codice genetico) e clonarli. Questo procedimento è stato fatto con mucche transgeniche dotate del gene per il fattore IX della coagulazione umana (emettono tale fattore nel latte).

Nell’uomo il gene si trova sul cromosoma X sessuale e se mutato può determinare la deficienza del fattore coagulativo che a sua volta conduce ad una grave patologia emorragica definita emofilia B. Nei trapianti, le liste d’attesa sono sempre più lunghe e non sempre i pazienti sopravvivono abbastanza per ricevere un organo, si possono clonare, quindi, animali i cui organi servano allo scopo. Clonare animali transgenici con il puro fine di lucro, vedi produzione di pellicce, inutile dirlo, è da condannare. Ma se lo scopo è  migliorare la vita e lenire dolori di persone sofferenti, allora tali procedure devono andare avanti.

Credo che di fronte a persone che muoiono e potrebbero salvarsi bisognerebbe mettere da parte i problemi morali ed etici. Un giorno potremo trovarci noi dalla parte di chi ha bisogno e magari pensarla diversamente, ma questo è solo un mio parere.

 

Febbraio 2003

 

Emilio Cusanelli

 

 

 
     

 

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