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- Difficoltà procreative e scelta adottiva -
Il lungo e faticoso percorso della coppia sterile: dalla constatazione delle difficoltà procreative alla scelta di amare un figlio nato da altri.

 

I mutamenti sociali e culturali del mondo occidentale, negli ultimi decenni del XX secolo, hanno condizionato molteplici aspetti della vita degli individui, fra cui il modo di formare una famiglia protraendo la scelta procreativa in età sempre più avanzata. Ciò ha generato sempre maggiori difficoltà nell’avere figli propri e, di conseguenza, ha provocato un aumento delle richieste di adozione anno per anno.
La  coppia che in età avanzata decide di ampliare il proprio nucleo familiare e riscontra difficoltà nel concepimento di un figlio, deve confrontarsi con l’accettazione e l’elaborazione dell’impossibilità a generare biologicamente.
La condizione di sterilità rappresenta per ciascun coniuge la perdita di molteplici aspetti  centrali per la vita di coppia fra cui la procreazione, la trasmissione genetica, la genitorialità,  la soddisfazione coniugale, costituisce la rinuncia definitiva alla realizzazione dell’ideale dell’Io (1),  provocando nella coppia sentimenti di frustrazione, senso di impotenza, aggressività  (Penati, 1986) e senso di colpa verso l’altro coniuge e verso la famiglia allargata.
Le donne sterili vivono questa realtà con forte senso di inferiorità, non sperimentano una serie di esperienze tipiche della gravidanza come fantasie sul feto percepito in grembo, sogni, timori, sensazioni fisiche. Esse vedono dissolversi la realizzazione del desiderio narcisistico di essere fisicamente immortali (Deutch, 1973) e vivono la sensazione profonda di essere state defraudate di un diritto elementare (Baruffi, 1979). Negli uomini, invece, prevalgono i sentimenti  depressivi e di vergogna. 
Questa ferita che si apre nei coniugi è legata al valore narcisistico della filiazione. Già Freud, negli scritti del 1914, aveva sottolineato la forte motivazione narcisistica sottostante il parenting (2).  Tale componente motivazionale, non manifesta è costituita dalle fantasie dei genitori sul figlio vissuto come un prolungamento del sè (Guyotat, 1980). Nella condizione di discrepanza  generatesi fra i progetti di  procreazione della coppia e l’oggettività dei fatti, si apre, quindi, una profonda ferita narcisistica che, per essere rimarginata, necessita di una negoziazione con la realtà relativa all’identità individuale, messa in discussione dall’imprevisto (Noy-Sharav, 2002).
Il processo che si snoda dal momento in cui si crea la ferita è stato definito da Matthews e Matthews (1986) come transizione alla non-parenthood, scandita in varie fasi, paragonabili alla risoluzione del lutto. Infatti la diade giunge ad una vera e propria risoluzione segnata dalla ridefinizione dell’identità personale, della relazione di coppia e della progettualità coniugale,  dopo aver sperimentato sentimenti sorpresa, di rinnegamento, rabbia, isolamento, colpa, depressione e dolore. Nel momento di riparazione la coppia ritrova stima reciproca, affetto, fiducia e supera i sentimenti di inferiorità. Condizioni necessarie per questa evoluzione sono delle sane strategie di coping (3) basate su un sé maturo: “se il senso di inferiorità determinato dalla sterilità viene  alleviato da una buona solidità del Sé, sviluppando una buona capacità di elaborare il lutto, i genitori potranno sviluppare una nuova genitorialità creativa e riparativa” ( Principe, 1991).
Gli aspiranti genitori, che non possono procreare biologicamente e scelgono di adottare, sono spinti da un desiderio di vita che trae origine da una condizione di lutto. Questa situazione riguarda la maggior parte delle coppie che giunge a presentare domanda di adozione dopo aver trascorso molto tempo in vani tentativi di procreazione assistita che, nonostante le attuali tecniche mediche avanzatissime, non sempre riescono a dare un figlio biologico a coppie con problemi di sterilità. L’adozione, pertanto, costituisce generalmente l’ultimo tentativo nel loro difficile cammino verso la  genitorialità ed ogni coppia approda a questa decisione dopo aver compiuto percorsi che, seppur differenti nei tempi e nelle esperienze, sono accomunati dallo stesso tipo di dolore: quello di non poter “avere” un figlio “proprio”.
Così l’adozione costituirà la nascita di un bambino in una coppia, pur generando un tipo di filiazione “diversa” ma parallela alla nascita biologica. Di fatto, il legame genitore-figlio, solitamente basato sulla procreazione biologica e quindi sull’appartenenza genetica, in questo caso, viene sancito (oltre che dall’atto giuridico) dal desiderio della coppia di amare e crescere un figlio, e si rinforza con il procedere della storia adottiva. Con l’adozione i coniugi scelgono di prendersi cura, donare affetto, vita sociale e psicologica ad un essere umano, permettendo così una generazione. Già Erikson (1982) ha sottolineato, in questi termini, la differenza fra procreare e generare. Dove procreare assume un significato puramente biologico e generare viene riferito all’atto di trasmissione di un patrimonio affettivo, educativo, culturale e sociale. 
Ciò a dimostrare che il percorso procreativo non sempre coincide con la scelta generativa; un esempio  alternativo è costituito da tutti i bambini che, pur procreati biologicamente, non vengono riconosciuti. È importante comprendere che il percorso del divenire madre e padre prescinde dalla scelta di procreare biologicamente: si può accogliere come figlio un bambino procreato da altri ed essere accolti da lui come genitori, e la condizione indispensabile per questa nascita del cuore è che sia superata la legge del legame del sangue.
La  maturazione affettiva della coppia sterile è la chiave che può aprire la strada per la costruzione di un legame familiare tanto intimo e profondo quanto quello della nascita biologica.
Diversamente, mancando l’elaborazione della ferita narcisistica dell’infecondità, la coppia potrebbe  usare l’adozione come un ripiego. In  questa situazione i coniugi possono in maniera più o meno consapevole, negare la propria storia dolorosa e non accettare quella del bambino, nel tentativo di sostituirla con una nuova nascita salvifica, che darebbe origine ad una nuova falsa famiglia (Brosio, 2000). In questo caso non verrebbe  soddisfatto a pieno il bisogno del bambino di essere accettato e di crescere in una famiglia che lo ami, per di più il bambino sarebbe investito di aspettative irreali e di un potere salvifico, condizionando negativamente la relazione con lui.  Tale  rischio si origina in una richiesta di adozione nata dal bisogno della coppia di colmare un vuoto. Di fatto, sovente i genitori sterili desiderano un figlio perfetto (Principe, 1991) ed in questi casi il rischio è di non preparare uno spazio idoneo all’accoglienza del bambino ed allo sviluppo delle sue potenzialità. È questo il contesto in cui il “figlio del bisogno” occupa il posto del “figlio del desiderio”: il bambino viene vissuto come un oggetto gratificante, rispetto al lutto della sterilità non elaborato, il figlio costituisce l’ ”oggetto” a cui i genitori affidano le proprie necessità, non  creando per lui uno spazio vitale (Santona, 2003).
La tendenza depressiva, derivante da una non elaborazione del lutto della infecondità e i bisogni non soddisfatti della coppia rischiano di radicarsi tanto fortemente da provocare nei coniugi  sentimenti di inadeguatezza e svalutazione, creando dei grandi ostacoli per la crescita di un figlio. Solo la trasformazione del bisogno in desiderio aiuterebbe la coppia a vivere a pieno tale evento, in uno scambio reciproco con il bambino e non come una soddisfazione unidirezionale, ossia costruendo una nuova storia che contenga le reciproche ferite rielaborate, frutto di una lettura “ri-costruttiva” della mancata procreazione.
Un ostacolo al compimento di tale maturazione, e quindi alla profonda e sincera accettazione dell’adozione come possibilità di divenire realmente genitori, è costituito dal rischio di attribuire maggior valore al figlio con legame di sangue confondendo  fecondità con generatività, tale rischio si accentua  dal momento che il bambino adottato porta sovente con sé lo stigma della diversità in quanto proveniente da realtà svantaggiate.
I coniugi adottivi in attesa, che hanno percorso la strada della crescita come genitori non “di sangue” ed elaborando la propria situazione, vivranno una “gravidanza mentale” molto più lunga di quelle biologiche. Queste coppie infatti, definiscono i loro figli  come i “ figli del cuore”.
In questa lunga attesa, la coppia sperimenta molteplici vissuti, reagisce, immagina, sogna, cresce. Solo così, può realizzarsi il percorso che conduce ad una nascita diversa ma sana; che preserverà la nuova vita che arriva dall’avere la mera funzione di “riempimento” di una lacuna fra i genitori, o una missione “riparatrice” che creerebbe il limite di un’accettazione fisica e non psicologica del minore.

 

1) Ideale costruito da ogni individuo, a cui si aspira e rispetto al quale paragona il proprio stato attuale.

2) Funzione genitoriale, l’essere genitori.

3) Strategie di reazione agli eventi della vita.

 

19 aprile 2009

 

Antonella Troilo

 

   
     

 

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