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Una vita in rosa -
di
Candido Cannavò, ed. Rizzoli
E' anche con la direzione di Candido
Cannavò alla "rosea" che
lo sport italiano ha, nel bene e nel male, subito profonde trasformazioni,
probabilmente definitive: da un ambiente col volto umano si è passati,
nel giro di circa vent'anni, in un mondo, quello sportivo appunto, ove
gli assi sono star agiografate, quasi sempre a torto. Perfette, quasi
come il cantautore dipinto da Bennato... Ma mentre nella famosa canzone
dell'artista napoletano l'autoironia era gaudiosa, e soprattutto presente,
essa manca del tutto in questa pubblicazione del popolare giornalista
sportivo. Avrebbe giovato molto ad un ritorno sulla Terra dei campioni,
dall'Empireo dorato ove assidono.
Ora, chiusasi nel marzo 2002 la sua avventura di direttore responsabile
della "Gazzetta dello Sport", Cannavò ricostruisce un
bilancio della sua vita professionale di giornalista, dagli esordi nella
sua Catania sino ai quattro lustri milanesi presso il più noto
quotidiano sportivo nazionale.
La parte migliore del volume è sicuramente la prima, ove l'autore
rievoca la Catania del tempo di guerra con affetto, dolore e partecipazione,
e nella quale racconta dei primi suoi passi, non solo da atleta, in quegli
anni Cinquanta così pieni di vitalità ed umanità.
Questa sezione - se così si può dire - arriva sino a tutti
gli anni Settanta ed è anche la parte meglio scritta.
Qui finiscono i pregi. Le pecche: intanto si nota una netta preponderanza
di eventi sportivi accaduti nel ventennio di direzione di Cannavò:
d'accordo, il testo (lo dice il titolo stesso) vuole rievocare soprattutto
la lunga avventura al timone del quotidiano, ma qualche aneddoto in più sugli
anni divisi tra la Sicilia e Milano non sarebbe spiaciuto. Questa seconda
parte di volume è tutt'altro che irresistibile: anche lo stile
si fa più piano, solo alcuni capitoli (un nome: Gino Bartali)
risultano validi, anche perché Cannavò indugia moltissimo
nella retorica patriottarda più fine a se stessa, dimenticando
che, agli ori olimpici degli azzurri, la gente non si riversa nelle strade
per intonare epinici al primo classificato. Pur non soffrendo di nostalgia
per il passato, va ammesso che è, indubbiamente, con le Olimpiadi
di Atlanta 1996 che lo sport (italiano, in particolare) si è avviato
verso una deriva divistica, sfrenatamente patinata. La deriva è lontananza:
ed è palese che, in questi ultimi anni, gli assi di quasi tutto
lo sport siano divenute stelle dalle quali non prendere troppo esempio.
Per tacere dei calciatori... Avete mai urlato a squarciagola vedendo
le stoccate della Vezzali?
Vi entusiasmaste quando la Pezzo tagliò per prima il traguardo?
Siete finiti in brodo di giuggiole il giorno in cui Di Donna batté il
cinese in extremis?
Vi commoveste all'apprendere che Rosolino si impose in vasca?
Quello che non si riesce a capire è perché Cannavò trovi
così aberrante il cosiddetto "tifo contro": sia chiaro,
il salutare tifo avverso, non quello volgarmente becero (e, ahinoi, preponderante)
di tanta parte delle nostre curve sportive. Se un atleta, più che
imporsi, viene imposto, è difficile divenga simpatico al grande
pubblico. Si posson accettare le spacconate di Valentino Rossi, conoscendo
l'indole meravigliosamente adriatica del motociclista, e stringi stringi
(nel senso letterale del termine) pure quelle di Cipollini, ciclista
amato almeno dal pubblico.
Più difficile che sportivi come quelli sopra citati (per esempio
gli schermidori) risultino popolari: è al contrario facile che
lo strombazzamento massmediatico delle loro vittorie li renda non esattamente
simpatici al pubblico esigente, quello che non vuol avere a che fare
con burattini-con-fili.
Un'altra considerazione: il capitolo su Luna Rossa non meritava la pubblicazione.
La borghesia pradian/bertelliana non affascina granché e dimostra,
anzi, quanto un certo mondo tendente al salottiero-annoiato sia da evitare
con cura, volendo rimaner se stessi.
Insomma, caro Candido, lei avrebbe dovuto capire che il retaggio principale
degli Ottanta, la vuotezza dell'immagine in quanto tale, sopravvive solo
nello sport, e quindi accettare con "riserve" le vittorie dei
medagliati olimpici delle ultime due edizioni... senza far passare per
eroi uomini e donne che, probabilmente, non hanno la modestia e l'umiltà degli
sportivi dei suoi anni verdi!
Alcuni refusi presenti, uno particolarmente grave (la rivolta d'Ungheria
avvenne ad ottobre 1956, non nel mese di maggio). "Una vita in rosa",
insomma, è il classico volume da leggere nelle occasioni di maggior
tempo libero, sia sotto l'albero, in poltrona, che, in altra stagione,
all'ombra di altri alberi, in mezzo al mare (dove ci stan "camin
che fumano"...).
Matteo
Cogorno
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