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- Il potere degli archivi - Usi del passato e difesa dei diritti nella società contemporanea -

di Linda Giuva, Stefano Vitali, Isabella Zanni Rosiello, ed. Bruno Mondadori

 

Il libro si compone di tre saggi che mettono in luce le relazioni tra il mondo degli archivi e la realtà sociale.

Nel primo (Archivi, archivisti, storici), Isabella Zanni Rosiello adotta una prospettiva storica e compie una panoramica dall’Unità d’Italia al presente sull’istituzione degli archivi, sul loro rapporto con il potere politico, sui cambiamenti e sulle evoluzioni in esso intercorse. Per ogni periodo preso in considerazione la studiosa fornisce una chiave di lettura e ne interpreta la tendenza. Così, ad esempio, a seguito dell’Unità, con l’Archivio del Regno, era importante che le memorie degli stati locali fossero avvertite come nazionali; nel secondo dopoguerra si riproponeva l’attualità degli archivi con una particolare attenzione per la documentazione recente e contemporanea (si pensi alla documentazione fascista) spinti dall’idea di un grande archivio per la storia nazionale; a questa centralità si contrappone la frammentazione istituzionale degli ultimi decenni del ‘900 e la disseminazione documentaria in innumerevoli centri periferici.
La studiosa arricchisce questo suo excursus citando e commentando gli eventi fondamentali, anche legislativi, che hanno segnato la storia degli archivi. Ricordo qui la costituzione dell’Archivio del Regno nel 1875 - diventato Archivio Centrale dello Stato nel 1953 - , la nascita del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali nel 1975 (sotto la cui tutela vengono posti i beni archivistici prima competenza del Ministero degli Interni), la redazione della Guida Generale degli Archivi di Stato Italiani a partire dal 1966.
Una parte importante del saggio della Zanni Rosiello riguarda la discussione, sempre svolta in prospettiva diacronica, sul complesso rapporto tra storici ed archivisti: i primi forti ormai della loro qualifica di ricercatori, i secondi alla ricerca di un riconoscimento del proprio ruolo. Anche in questo caso la studiosa ripercorre questa tematica attraverso i mutamenti che hanno interessato il mondo degli archivi, la storiografia e gli interessi della società. In merito a quest’ultimo punto, particolare rilevanza hanno avuto, infatti, il cambiamento della tipologia degli utenti degli archivi (non più solo storici e specialisti del settore, ma anche gente comune) e il loro crescente numero, la frammentarietà della conservazione della documentazione, il sorgere di archivi non più solo cartacei. Tutti questi elementi hanno avuto un grosso peso al fine di determinare il ruolo riconosciuto all’archivista quale ricercatore, ma soprattutto organizzatore e amministratore della cultura. La studiosa in questo suo saggio fa spesso riferimento a modelli esteri di gestione archivistica; sarebbe interessante chiederle quale ritenga possano essere dei cambiamenti attuabili in Italia, tali, però, che rispettino e valorizzino la nostra tradizione culturale, senza piegarla alle proprie esigenze.

Il secondo saggio di Stefano Vitali (Memorie, genealogie, identità) prende le mosse dall’immaginario collettivo sugli archivi quale si evince da rappresentazioni cinematografiche e letterarie. Il quadro che emerge è tutt’altro che positivo e si può riassumere nella famosa espressione di Virgilio che in Georgiche II, 500-501 definisce beato chi non ha mai conosciuto un pubblico archivio. Contro questa immagine, Vitali intende mostrare le categorie differenti con cui si può descrivere il ruolo dell’archivio oggi. Certo può essere inteso come memoria-deposito, ossia qualcosa di morto e sconosciuto nelle cui maglie si rischia di perdersi; oppure come memoria-registrazione quando attesta le attività dell’istituzione che riguarda; ma, nella prospettiva dell’autore, l’archivio deve essere sempre più memoria-identità, ossia qualcosa che parla di noi e della nostra storia personale e collettiva. Lo studioso si serve di numerosi esempi per avvalorare il ruolo che la documentazione archivistica ha svolto e svolge come testimonianza e riacquisizione di identità. Cito qui a puro titolo esemplificativo l’intricato caso dell’archivio di Salamanca, gli archivi nazisti o quelli della STASI. Solo puntando sulla valorizzazione di questo terzo aspetto è possibile promuovere, nel senso di rendere vitale e vicino alle esigenze e nuove curiosità del pubblico, il ricco patrimonio che i nostri archivi tramandano.

Infine, nell’ultimo saggio (Archivi e diritti dei cittadini) Linda Giuva indaga la dimensione politica degli archivi e il complesso e ambiguo rapporto tra la documentazione archivistica, il potere politico e il rispetto dei diritti dei cittadini. Anche in questo caso gli esempi citati sono numerosi e ben documentati. In particolare, la studiosa è interessata a discutere l’accesso alla documentazione e il “segreto d’archivio”. Quanto alla prima questione, non ci si dimentica di ricordare che svolge un ruolo fondamentale la tenuta dell’archivio corrente e la costituzione del vincolo archivistico tra le carte; la fase di progettazione ha un peso notevole per un’agile e proficua consultazione delle carte. Quanto al “segreto d’archivio” la studiosa si auspica (anche se ciò può apparire a prima vista un paradosso) che esso venga mantenuto; in caso contrario le pratiche omissive e distruttive di chi non vuole rendere pubblici certi incartamenti sarebbero verosimilmente maggiori. È allo stesso tempo necessario, però, introdurre normative trasparenti che permettano di fissare un limite al periodo di interdizione a certe carte e naturalmente una vigilanza e una tutela ancora più stretta di questi documenti.
Nel saggio vengono discusse anche le differenti scelte adottate dagli Stati nei confronti della documentazione prodotta durante il governo di regimi illiberali. La studiosa non ritiene giusto che a decidere sulla conservazione o distruzione di tali documenti sia solo lo Stato che ne è in possesso. Vengono fatti tre esempi che mostrano tre differenti condotte: il caso della conservazione quasi integrale degli archivi segreti della STASI in Germania, per la quale si batté un movimento di cittadini, consci dell’importanza di tale documentazione per determinare i giusti risarcimenti alle vittime e per non cancellare una memoria che li riguardava così da vicino.
Massicce distruzioni dei documenti dei servizi di sicurezza in Cile hanno comportato, invece, notevoli difficoltà nella ricerca dei colpevoli dei crimini commessi durante il regime di Pinochet sulla base esclusiva delle testimonianze orali o delle memorie scritte.
In Grecia, infine, si è voluto perseguire una via di mezzo: dopo l’individuazione dei responsabili si è deciso di distruggere gli archivi per segnare con questo gesto una cesura con il passato; una scelta del genere oltre a cancellare una parte di storia nazionale ha anche impedito, però, la possibilità di future forme di risarcimento.
Le contrastanti scelte operate dagli Stati sono naturalmente frutto anche del differente processo storico con il quale essi sono passati da un regime dittatoriale ad un ordinamento democratico. Di fatto non bisogna dimenticare che si tratta di “prove per la riparazione, elemento essenziale per la memoria collettiva, strumento per determinare le responsabilità in merito alle violazioni dei diritti, base per la riconciliazione e la giustizia universale”, che necessitano quindi di norme sovranazionali che regolino la loro tutela. La determinazione di una corretta prassi conservativa attraverso norme comuni è evidentemente necessaria oggi, perché si agisce sempre più in prospettiva comunitaria e globale, ma deve porsi come problema anche la salvaguardia e il rispetto delle tradizioni culturali dei singoli Stati.    

Da questi tre saggi emerge la necessità di considerare gli archivi come qualcosa di vitale, che riguarda da vicino la vita e la tutela dei diritti di ciascuno. Si tratta insomma, da un lato, di rilanciare il ruolo degli archivi proprio per comprendere meglio la società contemporanea e, dall’altro, di trovare nuove prassi di gestione che tutelino e valorizzino il patrimonio culturale che conservano.

 

17 ottobre 2008

Marianna Spano

 

   
     

 

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