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- Il potere degli archivi - Usi del passato e difesa dei diritti nella società contemporanea - di Linda Giuva, Stefano Vitali, Isabella Zanni Rosiello, ed. Bruno Mondadori
Il libro si compone di tre saggi che mettono in luce le relazioni tra il mondo degli archivi e la realtà sociale. Nel primo (Archivi, archivisti, storici), Isabella Zanni Rosiello adotta una prospettiva storica e compie una panoramica dall’Unità d’Italia al presente sull’istituzione degli archivi, sul loro rapporto con il potere politico, sui cambiamenti e sulle evoluzioni in esso intercorse. Per ogni periodo preso in considerazione la studiosa fornisce una chiave di lettura e ne interpreta la tendenza. Così, ad esempio, a seguito dell’Unità, con l’Archivio del Regno, era importante che le memorie degli stati locali fossero avvertite come nazionali; nel secondo dopoguerra si riproponeva l’attualità degli archivi con una particolare attenzione per la documentazione recente e contemporanea (si pensi alla documentazione fascista) spinti dall’idea di un grande archivio per la storia nazionale; a questa centralità si contrappone la frammentazione istituzionale degli ultimi decenni del ‘900 e la disseminazione documentaria in innumerevoli centri periferici. Il secondo saggio di Stefano Vitali (Memorie, genealogie, identità) prende le mosse dall’immaginario collettivo sugli archivi quale si evince da rappresentazioni cinematografiche e letterarie. Il quadro che emerge è tutt’altro che positivo e si può riassumere nella famosa espressione di Virgilio che in Georgiche II, 500-501 definisce beato chi non ha mai conosciuto un pubblico archivio. Contro questa immagine, Vitali intende mostrare le categorie differenti con cui si può descrivere il ruolo dell’archivio oggi. Certo può essere inteso come memoria-deposito, ossia qualcosa di morto e sconosciuto nelle cui maglie si rischia di perdersi; oppure come memoria-registrazione quando attesta le attività dell’istituzione che riguarda; ma, nella prospettiva dell’autore, l’archivio deve essere sempre più memoria-identità, ossia qualcosa che parla di noi e della nostra storia personale e collettiva. Lo studioso si serve di numerosi esempi per avvalorare il ruolo che la documentazione archivistica ha svolto e svolge come testimonianza e riacquisizione di identità. Cito qui a puro titolo esemplificativo l’intricato caso dell’archivio di Salamanca, gli archivi nazisti o quelli della STASI. Solo puntando sulla valorizzazione di questo terzo aspetto è possibile promuovere, nel senso di rendere vitale e vicino alle esigenze e nuove curiosità del pubblico, il ricco patrimonio che i nostri archivi tramandano. Infine, nell’ultimo saggio (Archivi e diritti dei cittadini) Linda Giuva indaga la dimensione politica degli archivi e il complesso e ambiguo rapporto tra la documentazione archivistica, il potere politico e il rispetto dei diritti dei cittadini. Anche in questo caso gli esempi citati sono numerosi e ben documentati. In particolare, la studiosa è interessata a discutere l’accesso alla documentazione e il “segreto d’archivio”. Quanto alla prima questione, non ci si dimentica di ricordare che svolge un ruolo fondamentale la tenuta dell’archivio corrente e la costituzione del vincolo archivistico tra le carte; la fase di progettazione ha un peso notevole per un’agile e proficua consultazione delle carte. Quanto al “segreto d’archivio” la studiosa si auspica (anche se ciò può apparire a prima vista un paradosso) che esso venga mantenuto; in caso contrario le pratiche omissive e distruttive di chi non vuole rendere pubblici certi incartamenti sarebbero verosimilmente maggiori. È allo stesso tempo necessario, però, introdurre normative trasparenti che permettano di fissare un limite al periodo di interdizione a certe carte e naturalmente una vigilanza e una tutela ancora più stretta di questi documenti. Da questi tre saggi emerge la necessità di considerare gli archivi come qualcosa di vitale, che riguarda da vicino la vita e la tutela dei diritti di ciascuno. Si tratta insomma, da un lato, di rilanciare il ruolo degli archivi proprio per comprendere meglio la società contemporanea e, dall’altro, di trovare nuove prassi di gestione che tutelino e valorizzino il patrimonio culturale che conservano.
17 ottobre 2008 Marianna Spano
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