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La fabbrica novgorodese -
Il primo stato russo, la cosiddetta Rus’ di Kiev, era strutturato principalmente su due città: Novgorod la Grande a Nord e Kiev, la capitale, a Sud. Come sappiamo dall’archeologia, l’impianto originario di Novgorod partiva da tre abitati separati, forse frequentati soltanto durante la stagione invernale: due sulla Riva Sinistra (la Riva di Santa Sofia) e uno sulla Riva Destra (la Riva del Mercato), e a parte (extra moenia) la Cittadella di Rjùrik. Quando si era deciso di agglomerarli in una sola città, cristallizzando l’autonomia di ogni etnia in veri e propri centri amministrativi (konèc) indipendenti, si tracciarono sulla Riva Sinistra le aree per il Cantone (traduciamo così per meglio intenderci la parola russa konèc) Nerevskii, ossia abitato dagli ugro-finni fra cui i Nérevi, poi quella per il Cantone Ljudin, nel quale risiedeva l’etnia balto-slava dei Krivici, e infine sulla Riva Destra quella per lo Slavenskii Holm, chiaramente il Cantone degli Sloveni. Aggiungiamo poi che il Cantone Ljudin doveva essere a maggioranza finnica giacché ci sembra di riconoscere nella denominazione niente altro che il finnico Lud, ossia Radura sacra recintata in un bosco di larici. Un recinto sacro tipico come quello che ancora si trovava intatto in Estonia nel 1928 presso Ilmegerve. Probabilmente i Krivici o avevano fatto spostare con le buone maniere i Finni sulla riva opposta o li avevano assimilati addirittura… Ci torna in mente il dubbio di sopra: se non erano dei veri abitati e, come la Cittadella di Rjùrik, funzionavano soltanto nella stagione dei trasporti verso il sud, i Cantoni attuali avevano forse origine dai depositi/officine artigianali (con i santuari degli dèi etnici rispettivi) dove si lavoravano gli articoli prima di metterli in vendita? Se così fosse, spiegheremmo ancor meglio la presenza della cittadina di Rusa, sull’altra sponda del lago Ilmen’, che si “ripopolava” quando c’erano i lavori agricoli. Per comodità d’esposizione non aspetteremo però che la città acquisisca il suo aspetto definitivo (in questo X sec. era ancora in pieno fermento di sviluppo), ma la immagineremo già quando funzionava a pieno ritmo sia dal punto di vista industriale sia dal punto di vista politico, sottolineando che è soltanto dopo l’introduzione forzata del Cristianesimo che la lotta per l’indipendenza si acutizzerà e i bojari novgorodesi (l’unica élite al potere), mediando su tutti i piani contro Kiev, giungeranno ad una loro vera e propria caratterizzazione di classe. Ad ogni buon conto mai prima del XII sec. in nessun’altra località slava si era visto questo tipo di “sacro signore”, cioè il bojaro (o bojardo, imitando la dicitura francese). Naturalmente Novgorod batte di un cuore proprio che si trova in un luogo ancor più sacro del resto cittadino. Qui abita il capo-città (stàrscina e poi posàdnik) che funge da Gran Sacerdote e da custode del patto eterno fra le diverse genti che qui si sono messe insieme. In funzione di ciò era costume in quel periodo affidare i figli delle famiglie componenti le etnie della nuova comunità a questo personaggio che li educava e li proteggeva! I giovani però erano in verità in stato di ostaggio agli dèi quali pegni viventi di fedeltà al patto. Insomma in una specie di prigionia… Questo luogo-prigione dunque, ben protetto da una cinta di mura di legno sacro di quercia, è il Detìnez che noi abbiamo tradotto appunto Convitto dei Bambini (in russo bambini si dice deti) e non Cremlino, al contrario di quanto si legge talvolta presso altri autori! Si trattava ora di attirare la gente per popolare la città nuova. Dato che Novgorod come denominazione è spiegabile con il fatto che la città apparteneva a diverse genti e il suo nome non poteva riferirsi a nessuna di esse, chi avrebbe osato abitare insieme con i sacri bojari? Dobbiamo dire che l’inurbamento fu e restò uno dei problemi eterni di Novgorod poiché periodicamente, nella sua storia, le emigrazioni dalla città furono più numerose che le immigrazioni dall’hinterland… Novgorod così diventa un grande centro industriale unico nel suo genere, non confrontabile con le sue antesignane baltiche Birka, Haithabu o la fantomatica Rerik in Pomerania, e dal piano della città (il più perfetto è quello del XIII sec.) possiamo vedere come i bojari e gli altri abitanti si erano organizzati per far fronte ai grandi affari. La planimetria generale o Piano Regolatore Cittadino parte dai crocicchi, che sono luoghi sacri e una volta fissati non si cambiano più. Questi dividono i terreni da occupare e naturalmente il più importante è proprio quello dove si trova il Detìnez. Da qui partiranno delle linee immaginarie che divideranno l’enorme territorio circostante in grandissimi spicchi con la punta (konéc) in ognuno dei Cantoni (che dai tre originari successivamente passeranno a cinque). Le fabbriche? Sono le stesse abitazioni padronali disposte giusto lungo i crocicchi! Anzi! Le famose cascine (usad’by), o i nidi (gnjòzdy) così chiamati, sparsi ordinatamente all’interno della seconda cinta di mura intorno al Detìnez fanno da casa e da bottega. Gli operai? Ex contadini che per varie cause si trovano in debito col proprio bojaro e che rifondono il dovuto col loro lavoro oppure chiunque sia disposto ad offrire la propria arte dietro compenso. Certo! Andare a lavorare a Novgorod significa tagliare i ponti con i propri luoghi d’origine, visto l’isolamento geografico, ma l’usad’ba non offre solo un’occupazione, bensì ogni altro tipo di confort occorrente alla vita normale di quei tempi. S’instaura così il Contratto di Lavoro del tipo Holopstvo, ossia una specie di schiavitù a termine (che poi diventava praticamente lunghissima e talvolta durava fino alla morte) in cui il holop in cambio di vitto e alloggio offriva le sue abilità al proprio datore di lavoro. D’altronde qui non si usava il denaro metallico per pagare, ma si ricorse al baratto (persino nelle transazioni commerciali di alto bordo) fino al XV sec. Per queste ragioni un salario non era immaginabile né era concepibile un lavoratore “volante” come il commuter di oggi che frequentasse il luogo di lavoro fino ad una certa ora e poi regolarmente tornasse a casa propria lasciando l’usad’ba! In un’area mediamente di ca. un migliaio di metri quadri su una pianta trapezoidale essa ospita la costruzione maggiore, ossia la casa a più piani in posizione leggermente arretrata rispetto all’entrata, dove il bojaro-padrone abita con la famiglia e dove dal primo piano, dall’unico balcone in posizione panoramica, controlla che tutte le attività si svolgano come si deve. Ci sono poi le case dei lavoratori più piccole e distribuite lungo il lato interno della palizzata. C’è una banja, ossia il bagno ad aria secca tipico russo che, simile alla sauna finlandese, serve per lavarsi e purificare corpo e spirito, curando molte malattie. C’è un granaio, un forno per il pane etc. Il bojaro si è fatto costruire persino un tempietto per i propri antenati, così come permetterà che i lavoranti abbiano un angolo della casa allo stesso scopo. Qualche altra attività industriale naturalmente rimaneva fuori dell’usad’ba direttamente affidata agli artigiani liberi o ai mercanti stranieri. Così c’erano vari quartierini sulla Riva del Commercio o sulla Riva di Santa Sofia, dove gli specialisti avevano la propria casa e officina separata dalle usad’by bojare, e qui svolgevano il proprio lavoro sopraffino su commissione. Di solito erano i bojari gli unici che trattavano con l’estero, ma gli artigiani liberi potevano gestire gli affari anche in modo indipendente, ad esempio quando riconfezionavano oggetti e articoli esotici (la seta, le lane, le spezie etc.) per la rivendita. Non ci sono molti pericoli di furti notturni a Novgorod poiché le porte delle mura delle due rive si chiudono ad una certa ora della sera e si riaprono ad un’altra dell’indomani mattina e quindi nessun estraneo potrebbe penetrare per rubare o un ladro fuggirsene, salvo sommosse, pestilenze o vendette! D’altronde, sebbene tutti sappiano che i bojari custodiscono in casa i preziosi e il danaro e che rubare è difficile, c’è sempre qualche grassatore improvvisato che causa confusione nottetempo appiccando un incendio sulla palizzata dell’usad’ba per penetrarvi e saccheggiare a piacere. Attenzione però: il “mestiere di piromane” è punito con la morte. Il più temuto nemico a Novgorod è infatti il fuoco. Qui tutto è fatto di legno e il fuoco attizzato in un qualsiasi punto della città, se c’è vento favorevole, si propaga velocemente e distrugge senza pietà. Altre mattane quasi periodiche sono invece le inondazioni in seguito al livello variabile delle acque del lago a primavera (maggio). Certo! Poi tutto si ricostruisce. I carpentieri ci sono e di legno ce n’è in abbondanza. Janin ha individuato ben 150 differenti attività artigianali a Novgorod e proprio la carpenteria del legno è quella più affermata (tanto che poi darà origine ad un proprio Cantone detto dei Falegnami sulla Riva del Mercato). Questo è un indizio in più che prova che non si produceva esclusivamente per l’esportazione, ma che c’era un mercato interno elegante ed esigente. Infatti gli oggetti in legno ritrovati dagli scavi sono di solito suppellettili fatte di legno per l’economia domestica locale e sono di varie forme e misure. I contenitori di fluidi, addirittura, sono standardizzati su misure ben precise. Fiorente era un’industria lignea particolare: quella dei pettini! Il legno usato però non è di qui, ma è il bosso importato dal Caucaso, ossia dalla zona sotto controllo cazaro. Non sappiamo se questa produzione fosse la conseguente diversificazione della lavorazione delle pellicce, quasi come estensione alle esigenze cosmetiche delle figlie e delle mogli, ma sicuramente era molto lucrosa (i pettini costavano moltissimo) e quando importare il legno di bosso non fu più possibile durante l’invasione dei Tatari la produzione praticamente cessò, con gran disdoro delle eleganti signore novgorodesi… che dovettero farseli venire dall’estero! Il bojaro comunque non è un avido padrone e basta. Impersona la figura paterna non soltanto per i propri stretti parenti, ma anche per gli ospiti-lavoratori! In questa veste si preoccupa infatti di educare tutti i ragazzi del suo nido, figli propri e figli dei suoi holopy, per formare degli uomini di sua assoluta fiducia. Ad esempio, tali saranno i mercanti suoi rappresentanti al mercato o al porto o quelli itineranti che manderà in viaggio con la merce in terre sconosciute e lontane evitando di rivolgersi a persone estranee. Della competenza di costoro (sono gli otroki) il bojaro è sicuro poiché li ha istruiti di persona e, soprattutto poi, li vedrà tornare sempre con i guadagni fatti, visto che, se sono holopy, ne trattiene presso di sé moglie e figli o genitori e fratelli. La cultura dunque regnerà a Novgorod proprio per tutti questi motivi e vediamo che la città sarà la più colta del Nord europeo, poiché qui tutti sanno leggere scrivere e far di conto. Ogni usad’ba avrà una scuola per maschi e femmine (che si trasferirà nella chiesa parrocchiale con l’avvento del Cristianesimo) poiché, se si fosse analfabeti, non si potrebbe esercitare la mercatura, che è l’attività libera più agognata da ogni novgorodese. Altro prodotto alimentare famoso che richiedeva una lavorazione industriale era il pesce secco e quello salato, questo molto più caro per il costo del sale importato dalla Guascogna, che serviva agli equipaggi naviganti ed era tutto di acqua dolce naturalmente, come il salmone (Kiev invece pescava nel Dnepr persino il grossissimo storione col suo caviale!). L’usad’ba produce, come abbiamo visto, per il mercato interno e, date le dimensioni della città che raggiunse ben 50 mila abitanti nel XIV sec. prima di essere colpita dalla peste nel 1351, il consumo era davvero enorme. Una grossa produzione è l’abbigliamento, dai livelli qualitativi altissimi. Se ammiriamo i vestiti e gli ornamenti sull’iconografia novgorodese o su quella degli stranieri che, in visita nelle Terre Russe, hanno disegnato e descritto i mercanti e le famiglie dei bojari, c’è davvero da restare ammirati. Con l’avvento del Cristianesimo questo mercato si allargherà e si lavorerà anche per i Monasteri (ce ne saranno oltre 50 intorno alla città, fra grandi e piccoli), specialmente nel campo della sartoria e della terracotta (il suolo è ricco di argilla). Addirittura qualche ecclesiastico intraprendente (ciò è permesso) metterà su una fabbrica di oggetti sacri, soprattutto di icone e croci, come un certo Olisei Grecin… Naturalmente l’industria che “tira” di più resta sempre quella che produce semifiniti per l’estero. Sebbene l’elenco dei relativi prodotti sia molto breve, il valore di ognuno è molto alto e la domanda in questo periodo è molto sostenuta. Cominciamo dagli schiavi! Naturalmente si parla non dei prigionieri di guerra né dei delinquenti condannati ai lavori forzati e neppure di coloro che si vendono per sbarcare il lunario, ma di quelli che gli Arabi importano da qualche secolo da queste aree del Nord per il loro fabbisogno domestico e che noi (sebbene sappiamo che la parola araba saqaliba non è altro che la trascrizione del greco Sklavenos, ossia Slavo) useremo per intenderci meglio sugli schiavi. Aggiungiamo che alla fin fine i saqaliba non sono che domestici cresciuti in casa del padrone acquirente dalla tenera età e adibiti a qualsiasi servizio, compreso quello sessuale. I ragazzi addirittura vengono “forniti” già evirati, gli eunuchi! Qui il discorso però è molto più complicato perché il mercato degli schiavi era specialmente gestito da Polozk e dintorni, e dunque rimandiamo il nostro lettore alla letteratura in bibliografia. Sottolineiamo che dopo l’introduzione del Cristianesimo questo commercio comunque decadde… Poi ci sono le pellicce dei piccoli animali della foresta: zibellini, ermellini, scoiattoli, castori, volpi, martore etc. (ne abbiamo accennato), ma anche di carnivori più grossi come linci e lupi – eccetto l’orso che è invece un animale sacro – e per queste ragioni, data la loro importanza (dominarono il commercio internazionale per secoli… e ancora oggi!), è bene parlarne un po’ più a lungo, prima di rimandare il nostro lettore a studi più specifici. E veniamo ad un’altra importante industria di questa parte d’Europa: la lavorazione della cera che avveniva insieme a quella del miele, naturalmente. La cera diventò subito un cespite importante e nel XII sec. la richiesta cominciò ad aumentare a vista d’occhio. Le ragioni della crescita della domanda sono già intuibili ad una semplice riflessione giacché la cera serviva a fare… candele! Il Medioevo (ma anche dopo, fino al XVIII-XIX) è stata un’epoca veramente buia a causa della mancanza o della carenza della luce artificiale, la cui necessità, si badi bene, non era per la gente meno abbiente, ma per l’élite. È già comprensibile a quali ambienti fossero destinate, se pensiamo alle chiese e alle case dei ricchi da illuminare. I conti qui sono presto fatti. Ad esempio milioni (letteralmente!) di candele erano bruciate per illuminare la più grande chiesa della Cristianità, Santa Sofia di Costantinopoli. Né ce ne volevano meno per le sale dei palazzi reali. E le candele costavano! Avevano un gran vantaggio: se la cera era di buona qualità non puzzavano e davano una bella luce costante e, se erano fatte bene, non producevano neppure tanta fuliggine. E i poveri e i meno abbienti? Nella Rus’ medievale contadina si usavano i bastoncini resinosi ricavati dalla betulla oppure ci si accontentava di lampade di sego o del riverbero della stufa russa (pec’ka) sempre accesa!
In seguito, quando si cominciarono a costruire campane in bronzo (alla fine del Medioevo s’aggiunse la costruzione dei cannoni) e si adottò il famoso processo “a cera persa”, di cera se ne consumò sempre di più… Per tutti questi motivi Novgorod si attrezzò per esportare cera di prima qualità. Per essere posta in vendita in contenitori standard la cera novgorodese doveva essere pulita e filtrata accuratamente, liberata di ogni altro grasso estraneo, e tutto sotto il controllo dell’unica gilda di cui abbiamo notizia nelle Terre Russe: i Cerai di San Giovanni sulle Marne, con tanto di capitolato ufficiale. Questi rilasciavano il marchio di qualità e pesanti multe aspettavano chi non avesse ottemperato a tutte le prescrizioni previste dai Cerai prima di caricare cera sulla nave in attesa in uno dei porti sul Volhov! Altro articolo molto interessante era il miele.
12 aprile 2008
Aldo C. Marturano
Bibliografia scelta J. K. Begunov (red.) – Skazanija Novgoroda Velikogo, Minsk, 2004
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