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- La donna Bufalo Bianco -
Anche
se i Lakota ripetono che “la donna non camminerà davanti all’uomo” hanno
in grande considerazione la donna bufalo bianco, anzi oserei
dire che è il fulcro della loro religiosità e delle loro credenze,
la leggenda inizia così... Tanto
tempo fa il consiglio dei sette fuochi sacri (le sette tribù che
formano la nazione dei Lakota) si riunì per l’ennesima volta poiché in
giro vi era molta desolazione, i bambini morivano di fame, non
si riusciva a trovare della carne fresca. Molti saggi anziani pensavano
che il Grande Spirito si fosse arrabbiato col popolo Lakota e che
quindi non mandava più cacciagione per loro. Il Grande Spirito
decise, quindi, di inviare due esploratori del clan del lupo (in
ogni tribù vi sono diversi clan con nomi di animali, dai quali
traggono le virtù fondamentali, in questo caso i lupi per la loro
conoscenza dei territori, per la loro vista e per la loro abilità nel
cacciare). I due esploratori si incamminarono e dopo una intera
giornata di marcia, stanchi e affamati scorsero all’orizzonte un
puntino e mano a mano che si avvicinava videro che era una persona,
una donna bellissima, avvolta in una pelliccia di bufalo bianco.
Il primo, vedendola, si avvicinò e provò a toccarla, a baciarla,
a portarsela sotto le sue coperte, ed allora ella lo toccò e lo
tramutò in polvere. Il secondo capì che si trovava di fronte a
qualcosa di sacro, si inginocchiò e dimostrò massimo rispetto per
quella creatura divina. Ella disse con voce maestosa, che sicuramente
non apparteneva al suo corpo fisico, “và, raggiungi il tuo villaggio,
dì al capo che sto portando cose buone per la tua gente, digli
di erigere una capanna di 24 pali e di renderla sacra per il mio
arrivo”. Il giovane tornò di corsa al villaggio e riferì l’accaduto.
La gente cosi fece e dopo quattro giorni la donna arrivò portando
in mano un involto, ella entrò nella capanna sacra facendone il
giro nel senso del sole, il capo Corno Vuoto Eretto le disse, “sorella
siamo contenti che tu sia venuta ad istruirci”. Ella disse che
al centro della tenda dovevano preparare un altare fatto di terra
rossa e con un teschio di bufalo. Dopodichè scoprì l’involto. Questo
conteneva il Chanunpa, la sacra pipa. La alzò mostrandola a tutti
tenendo con la mano destra il cannello e con la sinistra il fornello
(ed è da allora che la pipa si fuma in questo modo). Il capo, allora,
disse che avevano bisogno di carne perché erano molto affamati,
porgendole un sacchetto con dell’erba profumata sciolta in acqua
(ancora oggi si utilizza quando si vuole purificare una persona).
A questo punto la donna prese la pipa e la riempì con il chan-shasha
(il tabacco sacro che è fatto con la corteccia di salice rosso),
e camminò intorno alla tenda per quattro volte. Poi prese un tizzone,
accese la pipa e disse loro: “Il fumo che esce da essa è il
respiro di Tunkashila, l’Antenato Misterioso, usatela ogni volta
che pregate, ogni volta che volete parlare con il Grande Spirito,
ogni volta che dovrete fare qualcosa di sacro”. Proferite queste
parole la gente la vide andarsene nella stessa direzione dalla
quale era venuta, si fermò si rotolò quattro volte, la prima volta
si trasformò in un bufalo nero, la seconda in uno marrone , la
terza in uno rosso e la quarta in una bianca vitella (un bufalo
bianco è l’animale più sacro per i Lakota). Appena sparì dalla
stessa direzione vennero enormi, infinite mandrie di bisonti, e
da quel giorno i Lakota hanno vissuto con loro, venerandoli come
qualcosa di sacro, usando la loro carne per sfamare i bambini,
le loro pelli per vestirsi, i loro tendini per fare corde, le loro
ossa per fare utensili e il loro cranio per farne un altare. Due
pipe tribali molto antiche sono custodite dalla famiglia “Cavallo Che
Guarda” nel South Dakota. Si dice che una di esse, ricavata dall’osso di una
zampa di vitello di bufalo, è troppo fragile per essere fumata a causa
dell’età, e che in realtà sia la prima pipa sacra dei Lakota, quella della
leggenda. In un altro articolo vi parlerò di come fare una pipa e i modi tradizionali
di benedirla e di utilizzarla.
Febbraio
2003 Domenico Cosentino
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