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- Interpretazione -
Il piacere di trovarsi di fronte ad un’opera d’arte sta proprio nel fatto che esistono molteplici visuali, molteplici brain-storming che ognuno di noi può avere. L’importante è non chiudersi mai all’interno di una visione rigida e prestabilita da qualcun altro. Etichettare spesso serve per costituire quelle classi nominali essenziali alla comunicazione e alla comprensione reciproca, ma la stessa classificazione può essere nociva. Nel corso dei secoli la storia dell’arte ha visto spesso la formazione di “correnti”, spesso accomunate da comuni parametri stilistici e concettuali, nate dalla formazione delle cosiddette “scuole”. Questo ha permesso agli studiosi di raccogliere sotto alcuni macrogruppi, gli artisti e gli stili che si sono succeduti… che so, classico, neo-classico, impressionista, avanguardista e così via. Se però andiamo a scandagliare ogni “categoria”, ciascun artista al suo interno ha delle note che lo contraddistinguono, la sua anima creatrice ha dato la propria impronta al quadro, gli ha permesso di essere unico e originale. Questo perché ognuno tende sempre a caricare di una forte impronta personale l’opera, secondo il proprio gusto, il proprio sentire e i propri metri. Addirittura l’arte su commissione ha rivelato ogni tanto curiosi segni personali, magari trasmessi molto scaltramente e velatamente. Per esempio ricordo un quadro eseguito da un pittore per un nobile, nel quale era curioso notare quanto il viso del figlio dell’aristocratico assomigliasse in modo impressionante al consigliere di corte… che l’artista fosse a conoscenza di qualche tresca? O voleva semplicemente farsi burla del nobile senza dare troppo nell’occhio? Sta di fatto che è difficile domare lo spirito creativo, anche laddove esso si manifesti in pedestre tecnica. Con la crisi del modernismo, l’affermazione dell’arte concettuale e la santificazione dell’artista, vengono a generarsi milioni di universi, che ormai appare improbabile e ridicolo raccogliere in grandi “correnti”. Così, le interpretazioni sull’arte si fanno sempre più ardue. L’artista, che è consapevole del suo potere di “catalizzatore della realtà”, spesso si prende gioco di spettatori e critici, rendendo un rebus la propria opera, forte anche della quotazione che il mercato gli da. Sì, perché anche la variabile “mercato” non è da sottovalutare, anzi nella storia dell’arte ha sempre avuto un valore fondamentale, purtroppo. Tanto di cappello a tutti i critici, uno per tutti Achille Bonito Oliva, che hanno apportato delle notevoli interpretazioni alle opere dello scorso secolo e che sono risultati essenziali per la codifica di alcune “scuole”. I loro termini, come “transavanguardia” coniato dallo stesso Bonito Oliva, hanno chiarificato molto il panorama, talvolta semplificandolo un po’, ma etichettare è sempre necessario per intraprendere un qualsiasi tipo di comunicazione. E siccome l’arte è comunicazione, allora anche per essa spesso è utile fornire delle categorie interpretative. Nonostante ciò, spesso sorrido quando, dinnanzi a opere di difficile impatto interpretativo, lo spettatore di turno si scervella per inerpicarsi in arrampicate critiche. Per ostentare una certa cultura azzarda paragoni improbabili, o ancor peggio, cerca di scavare nell’intimità dell’artista, che forse non ha nemmeno mai visto, per poi generare solo colossali sfiati maleodoranti. Ebbene signori, quando siete davanti ad un’opera, gustatevela. Non date troppo retta alla didascalia o al sermone esplicativo della guida. Guardate coi vostri occhi e, prima sentite ciò che essa vi comunica, poi ascoltate i ciceroni e le voci colte. L’avvento dell’arte moderna, e successivamente contemporanea, dovrebbe servire anche a questo. Quanti artisti hanno provocato la critica e lo spettatore stesso?! Dietro ciascuna opera esiste sovente un concetto profondo, ma non vorrei che questa ricerca forzata di un perché, deturpi il valore intrinseco dell’arte e le sue mille interpretazioni. L’artista vi spiega che per lui un bel cesso piastrellato di strass rappresenta la corruzione del mondo? Bene, interessante… ma questo non vi soddisfa ancora?! Allora datevi anche da soli delle risposte, cercate voi delle interpretazioni, non affidatevi sempre a tutti i costi nelle mani altrui. Credo che l’arte contemporanea e l’arte del nuovo secolo questo vogliano comunicarci: affinare i canali percettivi per aprirli a molteplici visioni, indipendenti. Il monopolio interpretativo e la rigidità mentale sono stati sempre fautori di inutili scempi. Come scordare il “Braghettone”, che fu scelto dalla critica pontificia per coprire le parti “oscene” di alcune opere, spesso arrecando danni irrecuperabili. Ma c’è anche chi scelse di bruciare direttamente le opere no?!? Tecnica rozza ma sicuramente più efficace. A parte questi esempi limite, è sempre importante non serrare troppo le nostre papille percettive, non basta la cultura per gustare appieno una mostra. Ci tengo a riportare un avvenimento curioso che ho letto qualche tempo fa, se non sbaglio su “Specchio”. In occasione di una mostra contemporanea, era presente un bel piano a coda, ricoperto interamente da una grossa croce rossa su campo bianco. Ebbene…molte persone impettite, snob e magari anche colte, che spesso vanno alle mostre solo perché è di moda, sono passate dinnanzi all’opera e si sono fatte un bel risolino di circostanza. Invece, un bimbo, impietrito dal piano crociato, si è rivolto triste al padre, dicendo: « Papà…guarda, questo piano è malato…bisogna curarlo! ». Rivelando più di tante critiche. Forse i bimbi rappresentano appieno una visione non ancora “corrotta” dagli schemi didattici, sociali e dal mercato. Hanno la capacità di urlare le proprie interpretazioni, senza troppe influenze e tabù. Quante opere di grandi artisti fanno spassionatamente “schifo”?!? E per “schifo” intendo a livello prettamente comunicativo. Teniamo bene aperti gli occhi, senza farci troppo persuadere dalla “griffe” e dalle visioni altrui, che molto spesso sono solo letali!
dAvide dE Leo
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