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- TV e dintorni -
La crisi della TV. E' un programmatico momento di stanca, degno dei tempi mediocrizzati che viviamo, e non certo da pochi mesi. Il moderato teleutente, meglio se con buona memoria, non potrà dimenticare che lo scandaglio della televisione italiana è iniziato circa un decennio fa, quando Mara Venier fu piazzata per la prima volta al comando del principale, nonché sferragliante, carrozzone domenicale. Eravamo nel 1993. Sono coeve le performances della attuale onorevole Carlucci sull'ammiraglia privata: si ricordano, in questo caso, pure prove di bunjee jumping, in un a sorta di "Real TV" ante litteram. Era quasi un presagio della depressione ove sarebbe caduto il tubo catodico? Chissà. La televisione generalista vive un momento di non-ritorno, si è detto. Forse ci si trova in presenza di una nuova fase di "brodo primordiale": la prima risale all'era degli albori televisivi, età diametralmente opposta all'attuale, nella forma (e nel romanticismo. Parrà incredibile, ma poteva starci anche questo; non solo per le riproposizioni sceneggiate di romanzi di quella corrente letteraria, ma anche per l'impareggiabile ritornello dell'"Intervallo". Ritornello romantico: ascoltatelo da fidanzati al mare, in collina; la musica è degno sottofondo di una storia d'amore). Un ritorno alla TV divulgativa pare semplicemente poco credibile: molti brizzolati la rimpiangono ed agognano, ma i canali satellitari tematici, almeno alcuni, sanno culturalmente divulgare benissimo. Oltretutto in Italia è improba impresa suggerire rimedi per una televisione che sia nuova, fresca, intelligente: tutti aggettivi che paiono mere provocazioni rispetto all'essenza stessa del mezzo televisivo nello stivale: un mezzo che può apparire freddo (è facile) che non fresco. Sarebbe tuttavia ingiusto addossare ogni colpa alla sola signora Venier: ed anche ingeneroso, tutto sommato. I segnali di fumo del livellamento subalterno si videro già - naturalmente - nel decennio che oggigiorno ricordiamo unicamente per l'ossessione da immagine. Per tacere (ma solo in questa sede) degli esordi
berlusconiani, e degli sviluppi, pensiamo al Renzo Arbore di quel periodo
storico. E se si affermasse
che le sue goliardate altro non erano che archetipi e/o dettami di neovolgarità?
Il doppiosensismo dell'autore di "Speciale per voi" (forse
il suo momento più alto, in televisione) ha addirittura condizionato
il modo di ragionare di due generazioni sociali (all'incirca i nati tra
il 1957 ed il '72), tra una domenica che voleva essere altra, le frattaglie
cucinate in prima serata, il clarinetto vis(su)to con sospetto, sino
al suo epilogo emblematico, l'andare a tutta, ma non in avanti. Il sospetto è che
le sue scanzonate battute in compagnia nascondessero un cameratismo esattamente
da prendere alla lettera, nell'accezione storicamente meno nobile del
termine "camerata". Umorismo all'apparenza raffinato, in realtà virante
sul dejavù, e neppure troppo popolare(sco). Arbore ha sempre ammesso
d'essere estimatore degli anni Cinquanta (per forza, coincidono con la
sua età dell'oro): rimaniamo in periodo e allora ben più apprezzabili
risultano le battute demodè di Rascel o anche le meno riuscite
(poche, invero) scenette di Tognazzi e Vianello, piuttosto che le smargiassate "poliziesche" o
le ovvietà catalane di trent'anni dopo.
24 novembre 2002
Matteo Cogorno
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