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Intervista a Carla Paolini -
intervista reperibile anche sul sito della stessa Carla Paolini
Innanzittutto sarebbe carino conoscere qualcosa in più su di Te, non so... come è nata la passione per la poesia che poi, mi sembra di aver intuito, è diventata un lavoro praticamente a tempo pieno... se fai altre attività nella vita... se hai punti di riferimento professionalmente importanti dai quali hai attinto qualcosa o che Ti hanno ispirata..
Il mio interesse per la poesia è nato in età giovanile ed ha continuato ad accompagnarmi anche quando per diversi anni ho lavorato, per evidenti ragioni economiche, presso un ente pubblico.
Ho iniziato, come fanno tanti ragazzi, cercando di tradurre in parole i pensieri e le sensazioni da cui ero investita. Mi è stato subito chiaro che questa attività richiedeva uno sforzo di attenzione alle cose molto intenso e la necessità di soffermarsi su quanto avveniva non solo dentro di me ma anche intorno a me.
L'intento era quello di capire meglio, per quanto possibile, il perchè delle cose.
Alla scrittura si è affiancata in modo spontaneo e disorganizzato la lettura, come bisogno inderogabile per soddisfare una inesauribile curiosità e come strumento per arricchire non solo il pensiero ma il linguaggio, indispensabile mezzo per esprimersi.
Da questa "fonte meravigliosa" ho tratto tutti i punti di riferimento per poter continuare a scrivere.
Alcuni esempi:
da Ungaretti ho imparato l'amore per la sintesi, la possibilità di "gettare" le parole come pietre arricchendole di una forza nuova;
di Lorca ho amato la musicalità del verso e la straordinaria ricchezza immaginifica;
in Lee Masters ho visto la capacità di rievocare con partecipazione e sapienza la drammatica ricchezza della vita;
e l'elenco potrebbe continuare all'infinito.
Ma citare solo qualche autore significa fare torto a tutti gli altri - da tutti ho tratto qualche cosa di importante - anche da quelli, e sono molti, che non hanno uno stile particolarmente interessante o contenuti modesti: da loro ho imparato come non si deve fare.
Mi pare che sia costante nelle tue poesie la ricerca della Verità, quella con la V maiuscola... ecco, da cosa nasce questa tensione... questa volontà di creare quel mondo "meno teatrale" e "meno selvaggio"..
Non mi sono mai proposta di cercare la verità con la V maiuscola, sarebbe credo da parte mia, un atto di presunzione.
Forse questa impressione ti deriva dal fatto che cerco, come ti dicevo all'inizio, di approfondire la comprensione dei temi a cui mi avvicino, filtrandoli attraverso un punto di vista diverso da quello con cui spesso vengono accettati un po' meccanicamente senza sottoporli a valutazione critica. La verità assoluta, per chi ci crede, può essere solo di un Dio.
Secondo Te oggi si sta perdendo la propria soggettività, sacrificandola alla massificazione?
Il problema delle comunicazioni generato dal rapporto "io" e "l'altro" quanto va a deteriorarsi oggi la comunicazione con la globalizzazione mediatica?
Nel senso che magari non si conosce il vicino di casa però siamo amici di persone dall'altra parte dell'oceano... questo secondo Te, quanto può influire sul lato sociale e soprattutto artistico?
È la prima volta che nella storia dell'umanità, si verifica quel fenomeno che va sotto il nome di comunicazione di massa e come tutti i fenomeni importanti anche questo inevitabilmente influisce in modo determinante sia sull'individuo che sulla società.
Si assiste, come ognuno di noi può constatare nella sua esperienza di vita, ad una doppia tendenza.
Da un lato la voglia di valorizzare la propria personalità - sono sotto gli occhi di tutti fenomeni di esibizionismo televisivo, nel tentativo di emergere dalla massa - e nello stesso tempo la necessità di omologarsi ad un trend comune per sentirsi parte di qualche cosa di più grande, per appartenere insomma a un gruppo nel quale sentirsi protetti e accettati. È una schizofrenia che prende il singolo e la società - vediamo la tendenza delle piccole comunità a valorizzare tutte le realtà locali e nello stesso tempo l'ansia di partecipare ad aventi globali.
Penso che la comunicazione "mediatica" non sia la diretta responsabile dell'impoverimento dei rapporti umani mi viene da credere che questo dipenda soprattutto dal fatto che i mezzi di comunicazione attualmente ci permettono di accedere a una enorme quantità di informazioni con una velocità di contatti impensabile solo qualche anno fa, e questo ci offre la possibiltà di compiere moltissime cose in tempi strettissimi questa straordinaria mole di lavoro brucia le energie, accelera ogni nostro gesto e non consente pause di riflessione. È solo nell'intervallo che noi possiamo accorgerci dell'altro, possiamo sentirne la presenza accoglierlo e ascoltare le sue esigenze.
Questo comporta un dispendio di forze affettive che non è richiesto nelle comunicazioni a distanza attraverso le quali possiamo presentarci come più ci piacerebbe essere senza timore di essere giudicati o di essere coinvolti emotivamente.
Il massimo vantaggio con il mimino sforzo.
È indubitabile che ogni evento sociale si ripercuote anche sulla produzione artistica, infatti si può riscontrare una grande varietà di tendenze creative che riflettono l'incredibile complessità sociale odierna. Ogni artista raccoglie gli stimoli che gli arrivano, che sono sempre più numerosi e diversificati, e li rielabora liberamente, mettendo in difficoltà anche i critici che non sono più in grado di identificare correnti di pensiero omogenee.
Credo che dovremo sempre più abituarci ad accettare questa diversificazione, questa frantumazione come elementi caratterizzanti della nostra società post-moderna nella quale è sempre più difficile collocarsi nella linearità di una storia personale o sociale che sia.
Curiosa è la scelta in AI CANCELLI DEL FLUSSO di non dare nomi a ciascuna poesia... potresti mica spiegarmi meglio questa scelta? È molto curiosa...
Ai cancelli del flusso è la prima raccolta che ho digitato direttamente al computer. Il flusso del titolo è riferito al flusso immaginativo che lo strumento elettronico mi permetteva di fissare in modo veloce e immediato.
Fino ad allora le mie raccolte erano, come dicono i critici, "liriche d'occasione" nel senso che erano dettate da un evento o da un'idea, da un'impressione che mi colpivano e che io tentavo di trasporre in poesia. Mi sono resa conto, col tempo, che concentrando il lavoro su un determinato tema andavano perdute tutte quelle immagini ricche di suggestione e freschezza che comunque mi appartenevano in modo intenso anche se non meditato.
Il libro è appunto la voglia di raccogliere anche queste immagini. Mettere un titolo sarebbe stato fuori luogo: i flussi sono difficili da identificare.
Nell'ultima opera, AMORE DI VERSI, Ti concetri su un argomento specifico, ritornado come da un viaggio più globale attuato nelle altre opere... scorgo una visione come di "compromesso", posto a diversi livelli contrattuali a seconda del legame...sottointendendo il discrime labile tra Amicizia e Amore... ecco, a parte l'intro di Nietzsche, peraltro molto suggestiva, cosa rappresenta per Te oggi l'Amore...
Amori di versi è un volumetto costruito con liriche che nel tempo avevo dedicato all'amore e che ho voluto riunire in un'unica raccolta per dare maggior forza ed efficacia al tema.
Le forme di amore sono infinite come infinite sono le sensibilità di chi lo prova e l'intento era proprio di sottolineare questo concetto.
Per quanto mi riguarda personalmente - potrei cavarmela con qualche bella citazione o con una battuta, ma non voglio farlo - credo poco nell'amore-passione preferisco pensare ad un rapporto che abbia radici in una condivisione più vasta delle esperienze di vita.
Riccorre spesso questo Tuo sentirsi "out" dal mondo, una "non omologata" (...come recita un testo che appare nel sito della nostra associazione...)... ecco, cosa Ti porta a sostenere questo?
Credo che derivi da una deformazione professionale.
Chi scrive è obbligato a sdoppiarsi: deve partecipare intesamente alle situazioni che descrive ma nello stesso tempo deve allontanarsene per poterne cogliere tutti gli aspetti e avere la necessaria lucidità per riproporle.
È una caratteristica in parte genetica che con il tempo si fa sempre più forte e finisce per farti sentire continuamente fuori posto, in bilico fra queste due esigenze esistenziali.
Ecco, stilisticamente la Tua poesia appare molto ricercata, agli inizi soprattutto per ciò che concerne le rime (per esempio "Nonsense")... quanto conta secondo Te l'erudizione all'interno di una stesura poetica?
Non so se la mia poesia sia come dici tu "stilisticamente molto raffinata" so però che fra i tanti compiti a cui la poesia è chiamata non ultimo viene quello di rinnovare la lingua "ricucendo le ferite del disordine con l'ordine della scrittura" come diceva Proust oppure aprendo " le ferite contro il finto ordine del mondo" come diceva Dos Passos.
Chi scrive, se ha un minimo di rispetto per il suo lavoro e per sé
stesso, tenta di fare l'uno e l'altro.
Come ogni lavoro anche la poesia ha bisogno di strumenti.
Gli strumenti dello scrittore sono solo parole: strumenti delicati che vanno maneggiati con cura.
Imparare a farlo significa essere eruditi? Io non ne sono convinta. È un termine troppo arido e poco adatto ad esprimere quella commistione inscindibile di intuito e necessità rielaborativa, insomma di forma e contenuto indispensabili per ottenere qualche risultato decente in qualsiasi campo artistico.
10 febbraio 2003
dAVe
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