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- Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore -

 

"La mente intuitiva è un dono sacro e quella razionale un fedele servitore. Noi abbiamo creato una società che onora il servitore e dimentica il dono"
Albert Einstein

 

Introduzione

La conoscenza su come e perché noi sentiamo dolore e sul complesso gioco di neuroni e molecole messaggere che porta alla sua percezione sta progredendo costantemente. Allo stesso tempo però stiamo relativamente da poco tempo cominciando a considerare il contributo delle emozioni, degli affetti e delle funzioni cognitive, e come la risposta umana ad emozioni quali rabbia, frustrazione, depressione, ansia, fatica e disperazione possa influenzare la percezione del dolore. 


Il dolore cronico è emerso come un fenomeno distinto dal dolore acuto. Anche se i due tipi di dolore condividono il fenomeno della nocicezione (ricezione, trasmissione ed elaborazione centrale di uno stimolo nocivo, nda), nel caso del dolore cronico altri fattori sono in gioco, ad esempio una anormale attività nervosa o alterazioni a livello del sistema nervoso centrale.
Data la miriade di influenze sulla percezione del dolore, appare chiaro che l'applicazione di un modello biomedico tradizionale, che cerchi solo una causa organica del dolore, può fallire a volte poiché non tiene conto della natura multidimensionale del dolore.
I punti chiave per migliorare il controllo del dolore sono gli stessi che valgono per ogni attività clinica: buona comunicazione, valutazione approfondita e spiegazione esatta e completa delle opzioni terapeutiche. Una comunicazione efficace tra dottore e paziente, unita al contributo fornito da infermieri, fisioterapisti ed altro personale sanitario, può fornire un quadro più completo dell'esperienza del paziente ed è in grado di ampliare le possibilità terapeutiche. Il medico deve conoscere tutti i dettagli sul dolore provato dal paziente, la sua natura, l'evoluzione, i fattori scatenanti e quelli che lo alleviano, poiché questi possono suggerirne la causa e anche il trattamento.
Qualunque sia il trattamento prescritto, interrogando il paziente sull'effetto, il medico potrà decidere se esso è appropriato e adeguato o se va modificato. La scarsa comunicazione e la cattiva informazione possono sommarsi nel rinforzare idee sbagliate, quali ad es. quella che gli analgesici oppioidi provocano dipendenza e devono essere visti solo come ultima risorsa per i malati terminali.

Non tutti i dolori cronici rispondono ai farmaci analgesici attualmente disponibili e in tali casi trattamenti non farmacologici possono rappresentare l'approccio più efficace. Questi trattamenti sono solitamente inseriti nelle cure offerte dai gruppi di trattamento multidisciplinare del dolore. Essi includono una vasta gamma di tecniche, alcune delle quali fanno parte del bagaglio della medicina convenzionale, altre ne stanno al di fuori almeno per ora e fanno parte delle cosiddette terapie non convenzionali o alternative o complementari (agopuntura, ipnosi, fitoterapia, omeopatia, riflessologia, massaggio, osteopatia, chiropratica, shiatsu).

 

Credere o non credere? Questo è il problema!

Thomas Edison, geniale inventore e non solo, all’inizio del secolo scorso affermava che "Il medico del futuro non somministrerà medicine, ma coinvolgerà il paziente nella cura della struttura e delle funzioni dell'organismo umano, nell'alimentazione, nelle cause e nella prevenzione delle malattie". Questo è proprio ciò che mette in pratica la cosiddetta medicina olistica, ovvero la medicina del tutto, che considera l'essere umano come un insieme non separato di corpo-psiche-spirito. Su questo concetto di unità si basano tutte le medicine non convenzionali.
La frustrazione che segue ad un cattivo controllo del dolore può spesso indurre i pazienti a rivolgersi alle terapie alternative come ultima spiaggia. Queste, a differenza delle terapie convenzionali, sembrano in grado di offrire ai pazienti un approccio individuale indirizzato ai loro bisogni specifici. Anche se il trattamento non offre un sostanziale miglioramento del controllo del dolore, i pazienti possono ugualmente percepire un effetto benefico derivante da un approccio olistico, empatico e dalla sensazione che il loro dolore viene preso sul serio.
E' emblematico, a tal proposito, il racconto di Lord Edward Baldwin, pubblicato recentemente sul British Medical Journal, di cui riportiamo i passi salienti.
“La mia prima esperienza del non convenzionale è stata 35 anni fa. Mi ero lesionato le ginocchia in seguito ad una camminata in collina troppo vigorosa. Sono stato inviato da diversi specialisti, i quali hanno prescritto varie forme di trattamento, nessuna delle quali mi ha dato beneficio. Sono stato anche da un esperto di medicina sportiva, il quale ha persino suggerito che il problema fosse nella mia testa. Tre anni e innumerevoli eminenti specialisti dopo, quando zoppicavo, ero costretto a tenere fasciate le ginocchia e ero rassegnato mentalmente a convivere per sempre col dolore, un mio collega mi ha indirizzato da un guaritore spirituale nei sobborghi della mia città. Costui ha trascorso mezz'ora muovendo le mani sopra le mie ginocchia mentre chiacchierava della sua vita e di politica. Io non ho sentito alcunché, sebbene fossi stato avvertito che avrei potuto provare caldo o freddo. Non dimenticherò mai il mio stupore nell'alzarmi il giorno dopo dal letto e scoprire che il dolore era sparito, per non tornare mai più. Qual è la spiegazione della medicina ortodossa di questa guarigione? L'effetto placebo. Ma nessuno mi ha chiesto che cosa io mi aspettassi effettivamente. E questo è importante, poiché l'effetto placebo può dipendere dall'atteggiamento conscio o inconscio con cui il paziente si rivolge al trattamento. Quanto è probabile che un paziente, che ha consultato una serie di eminenti camici bianchi ed ha sopportato tre anni di insuccessi terapeutici e di dolore, si aspetti di essere curato da un vecchio uomo cieco senza qualifica professionale che non si concentra nemmeno su ciò che sta facendo? Non molto. In effetti io mi sentivo piuttosto stupido ad andare da lui. E se l'effetto placebo è così potente perché non si è manifestato in nessuno dei precedenti interventi ortodossi dai quali sì che mi aspettavo risultati? Quindi, anche se l'effetto placebo rimane una possibile spiegazione, esso non è certo e nemmeno probabile.”
In effetti, la principale critica che viene fatta nei confronti delle terapie alternative è relativa alla loro mancanza di rigore scientifico. L'evidenza dei fatti è fondamentale ma ha bisogno di essere basata su solide basi scientifiche. In mancanza di ricerche ben condotte, l'effetto placebo viene spesso addotto dalla medicina convenzionale come spiegazione dei risultati delle terapie non convenzionali. Tuttavia, si potrebbe sospettare che l'effetto placebo sia una toppa per coprire il disagio in cui si viene a trovare la medicina ufficiale quando si confronta con eventi insoliti e non previsti. Questo sospetto è rinforzato dalla tendenza dei medici a dare spiegazioni ed emettere sentenze prima di avere accertato i fatti. Quando un ricercatore scrive su Science che “nemmeno 1000 esperimenti con 10 milioni di trials (studi, nda) effettuati da 100 ricercatori separati che diano un risultato positivo attribuibile al caso con probabilità infinitesima” lo persuaderebbero di qualcosa che egli ritiene impossibile, beh! qualche dubbio sorge sull'obiettività scientifica! 


Ma allora le discipline come l’agopuntura o lo shiatsu, esistenti da 3.000 anni, devono aspettare che si attesti la comprovata scientificità prima di poter essere applicate? Miliardi di orientali avrebbero dovuto attendere per millenni queste prove "scientifiche” prima di farsi mettere gli aghi e le mani addosso?
Se i successi delle terapie complementari vengono rifiutati a priori perché ritenuti impossibili, l'evidenza scientifica non potrà mai essere raccolta, e la conoscenza medica potrebbe perdere un'opportunità per esplorare queste nuove aree. Dopo tutto, molti progressi in medicina sono cominciati con episodi aneddotici.

A questo proposito, vale la pena ricordare la storia di quel medico austriaco che a Vienna alla fine dell’800 si occupava della febbre puerperale. Egli scoprì che il problema era dovuto ad una negligenza igienica. Gli operatori facevano le autopsie e poi facevano nascere i bambini, senza lavarsi le mani. Propose quindi che dopo ogni intervento i colleghi si lavassero le mani con del sapone. Una cosa apparentemente banale, semplice da effettuare, praticamente di nessun costo, che a noi medici moderni sembra assolutamente imprescindibile oggi. Eppure, a quel medico i colleghi del tempo fecero una guerra tale da arrivare a rinchiuderlo in manicomio e sono dovuti passare circa 50 anni prima che gli dessero finalmente ragione! In quei 50 anni quanta gente è morta? Quante sepsi (condizione patologica che deriva dalla risposta generalizzata dell'organismo ad un'infezione grave, nda) si sarebbero potute evitare? E' evidente come spesso i tempi di riconoscimento e accettazione di una certa realtà o di innovazioni da parte della medicina convenzionale non sono così veloci come ci si aspetterebbe.

 

La situazione attuale

Le terapie non convenzionali sono ancora marginalizzate nei sistemi sanitari di molti paesi, ma la richiesta di un approccio integrato sta crescendo e sembra avere effetto. L'ostilità dei medici verso le terapie complementari sta incominciando a sgretolarsi. Corsi introduttivi per diverse terapie complementari sono stati attivati già in molte scuole mediche in gran Bretagna e Stati Uniti. Attualmente, le terapie complementari o alternative vengono usate assieme ai trattamenti convenzionali, piuttosto che in sostituzione di essi. Il tipico fruitore europeo delle terapie non convenzionali è una donna giovane o di mezza età, ben educata e che tiene alla propria salute. Le sindromi dolorose (lombalgia, artralgia, cefalea) sono fra le maggiori cause di ricorso alle terapie non convenzionali.
Le medicine non convenzionali conquistano sempre più italiani, che spesso si 'convertono' alle numerose pratiche oggi disponibili: dalla medicina cinese all'agopuntura, dall'omeopatia alla fitoterapia, dall'ayurveda ai trattamenti manuali della chiropratica e dell'osteopatia, allo shiatsu. Un'ondata inarrestabile, se e' vero che la stessa Organizzazione mondiale della Sanità, il Parlamento europeo e moltissimi Paesi hanno o stanno adottando proprie linee guida e di coordinamento per le Medicine cosiddette “non convenzionali”. Il benessere globale, raggiunto in modo non invasivo e incruento, è una tematica che sta sempre più ottenendo il favore del pubblico e che presenta un numero crescente di interessati e adepti.
L'ISTAT ha recentemente realizzato un'indagine sulle terapie non convenzionali nel quadro di una convenzione con l’Istituto Superiore di Sanità. Lo studio è stato condotto su un campione di circa 30 mila famiglie, pari ad oltre 70 mila individui. Le stime Istat sulle "Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari 1999-2000", mostrano che dal 1991 al 1999 è quasi raddoppiata la quota di persone che utilizza i principali trattamenti non convenzionali. Tuttavia, l’Italia resta ai livelli più bassi della media europea, sebbene l'uso di terapie non convenzionali cominci a crescere e a diffondersi tra quote importanti di popolazione.
Tra il 1991 e il 1999, l'aumento dell'uso di queste terapie è stato sensibile: confrontando i dati disponibili sui tre principali rimedi (agopuntura, omeopatia e fitoterapia), la quota di persone che, negli ultimi 3 anni, ne ha utilizzato almeno uno passa da circa il 7 % del 1991 all'8,3 % del 1994 fino a raggiungere il 12 % nel 1999. Tale incremento è soprattutto dovuto alla maggior diffusione dell'omeopatia: il numero di persone che vi hanno fatto ricorso è più che triplicato, passando dal 2,5 % all'8,2 % nello stesso arco di tempo. In aumento, sia pur contenuto, è anche la fitoterapia, mentre rimane invariata la quota di coloro che si sono curati con l'agopuntura.
Nel 2001, gli Italiani che hanno dichiarato di aver utilizzato - con una certa sistematicità - metodi di cura non convenzionali, nei tre anni precedenti l'intervista, sono circa 9 milioni, pari al 15,6 % della popolazione. A primeggiare su tutte è sicuramente l'omeopatia: la terapia più utilizzata e integrata con altre prassi convenzionali. Quattro milioni (8,2 %), secondo l'Istat, ricorrono all'omeopatia. Seguono i trattamenti manuali, scelti dal 7 % delle persone, la fitoterapia e l'agopuntura utilizzati rispettivamente dal 4,8 % e dal 2,9 % della popolazione e, infine, gli altri tipi di terapie non convenzionali (1,3 %).
I bambini fino a 14 anni sottoposti a trattamenti non convenzionali sono circa il 9,2 %. Il tipo di trattamento più usato è l'omeopatia, che riguarda il 7,7 % dei bambini.
Ma non solo: il 4,8% degli italiani assume rimedi fitoterapeutici, il doppio dei pazienti rispetto a soli dieci anni fa. Sono più le donne (circa 5 milioni e mezzo, pari al 18,2 %) che gli uomini (3 milioni e mezzo, pari al 12,9 %) a usare i rimedi non convenzionali. La consumatrice tipo é tra i 35 e i 44 anni (25,4 %).


Il fruitore è caratterizzato da una scolarità medio-alta. La propensione a far uso dei metodi di cura non convenzionali aumenta all'elevarsi del titolo di studio: il 24,1 % di chi è in possesso di una laurea o di un diploma ha fatto ricorso ad almeno un tipo di terapia non convenzionale, contro il 18,8 % di coloro che hanno la licenza media e l'11,2 % di chi ha conseguito la sola licenza elementare o nessun titolo. Più alto è il titolo di studio, maggiore è l'autodeterminazione delle persone: nel 33,3 % dei casi i laureati dichiarano di aver deciso autonomamente il ricorso alle terapie non convenzionali, percentuale che scende al 18,5 % tra coloro che hanno un titolo di studio basso.
La distribuzione territoriale del fenomeno rileva alcuni dati significativi: nel Nord – Est, quasi un italiano su quattro utilizza almeno una delle terapie non convenzionali, al Centro uno su sei, al Sud uno su quindici.
Il ricorso a queste terapie è comunicato al proprio medico curante nel 59,6 % dei casi. Ed è interessante notare come il 30,9 % del campione si sia rivolto al mondo dell’alternativo su indicazioni di persone amiche e non di un medico. Notevole è anche l’incidenza sul campione di coloro i quali “fanno da sé”: il 27,2 %. Più spesso è invece un medico (38 %) a consigliare questi tipi di trattamento, soprattutto nel caso di persone molto anziane (57,5 %).
A tutti gli intervistati è stato chiesto se ritenevano utili i metodi di cura non convenzionali, anche se non li avevano sperimentati direttamente. Il 39,8 % delle persone ha espresso un giudizio positivo sull’utilità di almeno un tipo di terapie non convenzionali, il 23,1% le definisce non utili e ben il 34,1 % non sa esprimere alcun giudizio. Per chi ritiene utili le terapie non convenzionali è generale la tendenza ad attribuire a queste una minore tossicità rispetto alle terapie tradizionali (71 %); ben il 22,6 % delle persone ritiene inoltre che siano l'unica possibilità di trattamento per alcuni tipi di patologie; il 20,5 % attribuisce una maggiore efficacia rispetto alle terapie convenzionali; il 13,2 % afferma che queste terapie consentono un miglior rapporto tra medico e paziente.
La cura di sindromi dolorose è il principale motivo addotto da quanti hanno fatto ricorso ad agopuntura e trattamenti manuali, rispettivamente il 59,3 % e 63,8 %, mentre tra coloro che utilizzano la fitoterapia una quota rilevante (44,1 %) vi ricorre per migliorare la qualità della vita. Il ricorso all’omeopatia non appare associato ad alcuna specifica condizione patologica. Chi usa rimedi omeopatici ritiene di poter curare in questo modo tanto le sindromi dolorose (30 %) che le patologie acute (24 %) o croniche (11,8 %) e ben il 28,6 % degli utilizzatori usa trattamenti omeopatici per migliorare la qualità della vita.

È elevato il livello di soddisfazione di chi ha sperimentato le terapie non convenzionali: quasi il 70 % di coloro i quali hanno fatto uso dei diversi approcci terapeutici dichiara di averne avuto dei benefici. I più soddisfatti sono gli utenti dei trattamenti manuali (ben il 77,6 %), il 17,7 % dichiara di aver avuto benefici solo parziali e soltanto il 3,3 % ritiene di non avere avuto alcun beneficio. Elevata anche la percentuale di soddisfatti tra coloro che hanno fatto uso di fitoterapia (74,6 % di soddisfatti contro 18,8 % di chi dichiara benefici solo parziali). Poco più basse le percentuali per ciò che riguarda l'omeopatia (72,9 % di soddisfatti contro 18,5 % di persone che dichiarano benefici solo parziali).

 

Conclusioni

Dato che molte tecniche terapeutiche non convenzionali sono definite in termini di tradizione storica, necessariamente statica, discutere dei progressi di queste terapie risulta quasi una contraddizione. Tuttavia, non si può negare che dei passi sostanziali sono stati fatti recentemente per quel che riguarda la loro struttura organizzativa e le loro basi scientifiche.
Ciò sembrerebbe indicare che le terapie non convenzionali stanno diventando più integrate. Integrazione vuol dire che simili standard clinici, scientifici e regolatori vengono applicati in tutte le forme di scienze della salute. Da tale integrazione deriverebbero: 1) un miglioramento delle possibilità di accesso alle cure e disponibilità delle stesse per tutti; 2) un accordo tra le varie figure professionali sui rispettivi ruoli; 3) la sensazione da parte del paziente di ricevere le cure da un servizio coordinato.
Come abbiamo visto, le terapie non convenzionali rappresentano strategie importanti, in particolare per il trattamento del dolore acuto e cronico. Queste raramente possono essere intraprese in un reparto di chirurgia o medicina dove il personale è quasi sempre scarso e sotto pressione, ma potrebbero e dovrebbero costituire le basi della cura in una clinica per il trattamento multidisciplinare del dolore.
Se i principi delle terapie non convenzionali potessero essere combinati con l'efficacia di un regime farmacologico attentamente valutato e flessibile, nonché con l'uso di altre tecniche di tipo convenzionale, gran parte della sofferenza del dolore potrebbe essere evitata. Forse è tempo di riconoscere i limiti della medicina convenzionale, in particolare della politica secondo la quale “una misura va bene per tutti”, e abbracciare un approccio olistico multidimensionale al trattamento del dolore.

Ognuno di noi è libero di credere o non credere alla medicina non convenzionale, in base alle proprie conoscenze, esperienze e sensazioni. Ma quello che nessuno di noi dovrebbe mai dimenticare è di mantenere sempre una mente aperta!!!

 

Bibliografia essenziale

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Paterson C., Britten N., "'Doctors can't help much': the search for an alternative", Br J Gen Pract, 1999, v. 49, 626-629

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Istat, "Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari", 1999-2000

 

2004

Marco Luchetti

 

Articolo pubblicato dal dott. Marco Luchetti, riprodotto e modificato previa autorizzazione di ACTA ANAESTHESIOLOGICA ITALICA.
Il riferimento bibliografico dell'articolo originale è:

Luchetti M., "Tecniche e terapie non convenzionali per il trattamento del dolore", ACTA ANAESTHESIOLOGICA ITALICA, 2004, v. 55, 8-32

 

   
     

 

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